Dal verso libero a parole in libertà:
G. P. Lucini e F. T. Marinetti
Durante la permanenza a Parigi, che gli permise di assorbire stimoli dalle poetiche tardo-simboliste e dalle filosofie di Nietzsche e di Bergson, Marinetti diede vita al Futurismo il 21 febbraio 1909, pubblicando il Manifesto di fondazione sul giornale parigino Le Figaro, con evidenti propositi di avanguardismo e di internazionalismo. Il movimento si pone subito in sintonia con i processi di industrializzazione della società capitalista esaltando i nuovi miti della modernità, la Macchina e la Velocità, e dissacrando, vitalisticamente, tutto ciò che del passato era segno ed eredità, il soggettivismo, il sentimentalismo, il tradizionalismo passatista. Addita con perentorietà gli elementi essenziali dell’arte futurista, annunciano nuovi temi e nuovi soggetti per la poesia. La carica eversiva e rivoluzionaria del primo testo dell’avanguardia è molto evidente e il messaggio attrae molti artisti e poeti giovani che concordano con le proposte, seguendo Marinetti che sarà sempre l’animatore instancabile del movimento e il caposcuola riconosciuto.
Oltre cinquanta manifesti si susseguono fino al 1916, da Uccidiamo il chiaro di luna (1909),a Contro Venezia passatista (1910), al Manifesto tecnico della letteratura (1912), ai manifesti della pittura, scultura, musica, teatro, architettura, fotografia, danza, ecc. fino all’aeropittura e all’aeropoesia, alla grafica e alla pubblicità. Fu un progetto di arte totale che si calò in un ambito italiano ancora piuttosto legato a concezioni statiche e provinciali nonostante la vistosa presenza dannunziana e la più pacata voce pascoliana, e trovò per questo ampia risonanza, tanto da coinvolgere i giovani C . Covoni, A. Palazzeschi, G . Ungaretti e, con un ruolo all’inizio importante, G. P. Lucini. Si afferma giustamente che il prodotto più autentico in campo letterario del futurismo sia stata la messe di manifesti, proposti con fervore e con forza pubblicitaria indiscussa.
Ben più significativi e valido sono risultati gli esiti delle arti figurative. Il movimento ebbe come centri principali di diffusione Milano e Firenze, dando vita a riviste molto importanti come "Poesia" e trovando ospitalità e consensi in "Lacerba", la rivista fiorentina di G. Papini e A. Soffici, tra il 1913 e il 1915.
Al centro della poetica futurista e marinettiana si pone un vero e proprio culto, celebrato in infinite circostanze (tante e partecipate furono le "serate futuriste"), per la modernità nei suoi aspetti più caratterizzanti, la Macchina e la Velocità, come si diceva, e più brutali la Guerra, contro ogni aspetto della via che sia frenato dai ritmi naturali o ritardato da appigli soggettivi e psicologici. Dunque, rapidità, simultaneità, analogismo estremizzato sono i processi con cui si deve vivere la vita ed esprimere l’arte.
Tutto ciò porta in letteratura a scardinare gli assetti razionalistici e sentimentali tradizionali, abolendo l’io, i nessi grammaticali e sintattici, le pause imposte dalla punteggiatura, per privilegiare invece un immediato incontro-restituzione di realtà, vicine o lontane, analogicamente e intuitivamente còlte e restituite da una parola che si dispone in modo tipografico libero e con soluzioni grafiche visivamente significative, seguendo il codice di una immaginazione senza fili, filo a liberarsi completamente come segno imposto da rapidissime invenzioni associative.
Se, dunque, in "Poesia" nel 1906 Marinetti proponeva l’inchiesta sul verso libero, a cui aderivano e concordavano in molti, in seguito si fede propugnatore di istanze formali ancora più eversive e oltranziste, come appunto, "le parole in libertà".
Al tempo di "Poesia" Marinetti trovò un’importante collaborazione in G.P. Lucini che dell’esperienza simbolista francese era il più consapevole conoscitore in Italia. Fedele ad un intransigente moralismo civile nei contenuti della sua poesia, era disposto alle sperimentazioni più spregiudicate nella forma. Per questo ultimo aspetto può essere considerato un anticipatore del Futurismo e non si limitò ad esercitare nell’impegno creativo personale le nuove forme linguistiche e metriche, suggerite dalla grande trazione simbolista, ma attaccò le forme istituzionali della letteratura con interventi politici diretti, come l’Antidannunziana del 1914, poiché credeva che esse fossero un sistema di conservazione che frenasse una necessaria palingenesi rinnovatrice.
A questo punto incontrò Marinetti e la rivista "Poesia", che pubblicò Revolverate (1909) e La solita canzone di Melibeo (1910) e soprattutto La Ragione poetica e programma del verso libero (1908), in cui Lucini proponeva, in sintonia con la polemica marinettiana, l’accettazione consapevole del verso libero come mezzo di liberazione della poesia da ogni freno inibitorio. Marinetti e Lucini avevano in comune l’acquisizione della lezione simbolista e Lucini in Italia ne era il più valido interprete, per una straordinaria ricchezza nell’immaginazione metaforica, per l’impiego dei processi analogici, per le novità di tipo metrico ed espressivo che impiegava.
La strada comune percorsa da Lucini con Marinetti era, però, destinata a finire presto perché la convinzione della poesia come necessità del nuovo aveva radici profondamente etiche, di matrice lombarda di alternativa sostanziale alla realtà per Lucini, mentre per Marinetti era adeguazione propagandistica alla realtà industriale e tecnologica, avversa, per questo, a ogni freno umanistico ed arcadico. L’entusiasmo marinettiano per la guerra di Libia, e per la guerra in generale, non poteva accordarsi in nessun modo con l’antimilitarismo e l’antipatriottismo di matrice anarchica di Lucini.
E come Lucini, altri giovani poeti intrapresero, dopo l’iniziale attrazione avanguardistica, ben altri personali percorsi, come testimoniano non solo C. Covoni e A. Palazzeschi, con la sua originalissima e durevole poetica del "lasciatemi divertire", ma soprattutto G. Ungaretti che darà altra voce alla poesia novecentesca con le liriche di Il porto sepolto, scritte nel dramma della Grande Guerra.