Poetiche di Verlaine, Rimbaud e Mallarmé.

Nascita del nuovo segno poetico

 

Secondo M. Décaudin, P. Verlaine, se non è stato un teorico in senso stretto, ha però con la sua opera contribuito allo schiudersi della poesia moderna.

Sdegnoso di innovazioni formali – quali il verso libero -, ha tuttavia portato la sua prosodia a una dissoluzione singolarmente efficace delle forme tradizionali. Nella Critique des poèmes saturniens replicava ai suoi detrattori : "Mio Dio, credo di aver spezzato il verso a sufficienza, di averlo abbastanza liberato, se preferite, spostando il più possibile la cesura e, quanto alla rima, credo di essermene servito con giudizio, senza troppo assoggettarmi né a pure assonanze, né a forme di eco indiscretamente eccessive." E in un epigramma notava:

J’admire l’ambition du vers libre.

Et moi même que fais-je en ce moment

que d’essayer d’émouvoir l’équilibre

d’un nombre ayant deux rythmes seulement ? 

(= ammiro l’ambizione del verso libero. / E anch’io che cosa sto facendo in questo momento / se non provare a smuovere l’equilibrio / di un numero che ha solo due ritmi?)

J. K. Huysmans, nel 1884, in À Rebours lo ammirava dicendo : " Munito di rime ottenute coi tempi dei verbi, a volte anche con lunghi avverbi preceduti da un monosillabo, da dove cadevano come dall’orlo di una pietra, in una pesante cascata d’acqua, il suo verso, tagliato da cesure inverosimili, spesso diveniva singolarmente astruso, con le sue ellissi audaci e le sue strane trasgressioni, che non mancavano tuttavia di grazia. " Parlava anche di ritmi "il cui timbro quasi cancellato si sentiva solo in strofe lontane come un suono spento di campane".

Verlaine eccelle nel sovrapporre alle forme più canoniche, ad esempio un sonetto di alessandrini, un ritmo da verso libero. Nel sonetto di Sagesse "O vous, comme qui boite au loin, Chagrins e Joies" (Voi, Crucci e Gioie, come chi da lungi zoppica) notiamo sequenze di due, sei quattro, una, undici, otto, sette, nove sillabe in un gioco sottile in cui si rispondono misure pari e dispari e queste suggeriscono la fuga di tutte le cose, dopo lo zoppicare delle prime.

Non è paradossale affermare che se Verlaine ha ripudiato il verso libero ne è tuttavia il padre naturale. Andamenti nuovi egli ricerca anche nelle Confessions e tutte le sue innovazioni formali trovano una formulazione teorica straordinariamente palese in Art poétique del 1874 (pubbl. nel 1884), dove nella parte destruens, fortemente polemica, rifiuta "l’arguzia", "la punta assassina", "il Riso impuro", e soprattutto "l’Eloquenza". "Quante colpe ha la Rima!" , che egli ci invita a domare, suggerendo l’impiego del "verso impari" (incompleto e tale da spingere il lettore a leggere il successivo) rispetto a quello pari. Poi esorta con forza alla Musica (sourtout la Musique), alla canzone un po’ grigia e indecisa, alla sfumatura, concludendo con la quartina: "Il Verso: una bella avventura / che sulla brezza del mattino / va sfiorando la menta e il timo, / lieve. E il resto è letteratura ". Ogni effetto forte e turgido deve essere allontanato, così come ogni sostenutezza troppo elaborata e declamatoria. Queste proposizioni entreranno in circolo in tutta la poesia tardo-simbolista europea, nel nostrano crepuscolarismo e persino nel Poema paradisiaco di D’Annunzio.

Per A. Rimbaud il poeta "bisogna che si faccia veggente (= voyant) attraverso un lungo, immenso e ragionato regolarsi di tutti i sensi. Tutte le forme di amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni, per conservarne soltanto le quintessenze. (…) Giunge all’ignoto e si fa rubatore di fuoco. (…) Deve sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se quello che riporta da laggiù ha forma, darà forma; se è informe, darà l’informe. Trovare una lingua; (…) il tempo di una lingua universale verrà! (…) Questa lingua sarà anima per l’anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e tira. Sarebbe compito del poeta definire la quantità d’ignoto che si ridesta nell’animo universale del suo tempo (…) Intanto chiediamo ai poeti il nuovo, forme e idee. (…) Baudelaire è il primo veggente, re dei poeti, un vero Dio. Tuttavia è vissuto in un ambiente troppo da artista; e la forma in lui tanto vantata è meschina: le invenzioni di ignoto reclamano forme nuove." (Lettre à Paul Demeny, 15 maggio 1871)

In queste affermazioni perentorie vi è tutta la poetica di Rimbaud, a cui si dovrebbe aggiungere quanto dice, in prosa e in versi, in Alchimie du verbe da Une saison en enfer: "Inventai il colore delle vocali (…) scrivevo silenzi, notti, sognavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini (…) mi abituai all’allucinazione semplice: vedevo indiscutibilmente una moschea al posto di un’officina, una scuola di tamburini addestrata da angeli, calessi per le vie del cielo, in fondo a un lago un salotto: mostri, misteri (…). Più tardi spiegai i miei sofismi magici con l’allucinazione delle parole! Finii col trovare sacro il disordine del mio spirito." Di qui comprendiamo Poésies, Les déserts de l’amour, Une saison en enfer, Illuminations : evocazioni, analogie misteriose e simboliche, fonosimbolismi e sinestesie che nella "parole" trovano i propri profondi significati. La parola qui crea realtà, il significante divora i significati e decreta la sua totale autonomia vittoriosa. Le forme, magiche ed esoteriche formule, iniziazioni vere e proprie, si rivoluzionano e fondano nuovi linguaggi e versi nuovi, versi liberi, come, appunto, in Illuminations.

Se già in Les noces d’Hérodiade, mystère (1864) il bisogno di attingere l’Assoluto, astraendosi dal contingente, si impone e determina l’esigenza dello stile perfetto come ricerca ascetica e lontana dal mondo, è poi in un Un coup de dés jamais n’abolira le hasard che S. Mallarmé giungerà all’acme del lungo percorso, dotando la sua lirica di una forma del tutto svincolata dalla tradizione nelle strutture sintattiche, nella disposizione e nell’evidenza tipografica delle parole, nel rapporto tra pagina bianca e versi. In quest’opera fondamentale, al mondo oggettivo crollato e al crollo delle tradizioni comunicative tradizionali, Mallarmé intende offrire un residuo appiglio per l’uomo, l’unico, costituito dalla Poesia come voce dell’Idea assoluta della Bellezza, che basta a se stessa. Solo la poesia pura e l’autonomia dell’arte si rivelano mezzi attraverso i quali si raggiunge, con l’interpretazione del significato profondo e del valore del linguaggio, la comprensione dell’unità profonda dell’universo, come unità estetica.

Mallarmé sente forte il bisogno di evasione nel puro cielo (ciel antérieur) della Bellezza ideale: essa è il principio di una possibile rinascita in un mondo purificato. Accettata la purità della poesia come disumanità e come pura idealità astratta, il poeta afferma il desiderio di un radicale rinnovamento: non gli basta più la precisione limpida del linguaggio comune, occorre rinnovare il linguaggio poetico. Di questo Mallarmé evidenzia il senso extralogico, non discorsivo, il senso musicale ed evocativo della parola, come centro di sentimenti e di pensieri irradiati, che si svolgono liberamente, per cui la parola va isolata in una sorta di sua reinvenzione perché riacquisti i suoi intimi significati. La parla pura ha quindi il misterioso potre di creare intorno a sé atmosfere e ritmi puri, liberandosi da ogni stretta connessione data dalla sintassi logica della frase: essa, al di là di ogni significato dato, può determinare stati d’animo, gesti, ritmi, sensazioni del tutto separati da ogni esperienza concreta. Rispondendo nel 1891 ad una domanda sul naturalismo, Mallarmé affermava: "Ma la letteratura ha qualche cosa di più intellettuale del naturalismo: le cose esistono, noi non dobbiamo crearle; noi non dobbiamo che scoprire (ecco qui il principio analogico come nodo centrale del sistema di Mallarmé; n.d.A.) i rapporti e sono i fili di questi rapporti che formano i versi e le orchestre."

Per ulteriori indicazioni teoriche, si rimanda alla lettura di La musique et les lettres e di Crise de vers ed allora in pieno verrà còlta la novità assoluta dell’operazione mallarmeiana anche relativamente al problema del verso libero. Abbiamo, comunque, già compreso quanto inciderà questa poetica sul simbolismo successivo e quanto suggestionerà esperienze molto diverse tra loro come le "parole in libertà" di F. T. Marinetti, o la lirica ungarettiana della parola come valore assoluto.

 

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