Liceo Ginnasio Statale
“Augusto” – Roma
29 novembre 2005
conferenza tenuta dal prof. Giorgio Mariani
Docente di Letteratura Anglo-Americana
Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Anglistica
Università di Roma “La Sapienza”
In Leaves of Grass Whitman non parla di sé, ma di un paese intero, gli USA che attraversano la fase della costruzione della nazione. Forse oggi non parlerebbe così. Comunque è certo che nessun poeta statunitense attuale può prescindere da Whitman.
Leaves of Grass è definito un capolavoro. Per il suo autore l’idea era quella di lasciare un lungo testamento fino alla sua morte, fino, appunto, alla cosiddetta “Deathbed edition”. E anche se il poeta incrementa la sua raccolta di poesie nell’arco dell’intera sua vita, il titolo dell’opera resta sempre invariato. Il testo che ne risulterà sarà una grande lezione di democrazia, anche per le caratteristiche formali e sostanziali della trasgressione. Con gli anni, tuttavia, Whitman diventa via via meno radicale, ma le caratteristiche della trasgressione nell’edizione del 1892 non sono certo inferiori alla prima, quella del 1855.
Fino ad allora sono esistite solo le regole del verso inglese: Whitman, ora, cambia le regole del gioco perché le sente come una gabbia. Benché non in possesso di una grande formazione scolastica, diventa il poeta che incarna il mito del self-made man e per sopperire alle sue carenze culturali, compra libri e se li fa prestare. Nelle sue poesie compie scelte dettate da esperienze personali e R. W. Emerson è entusiasta di lui. Emerson non sa scrivere in quel modo: lui è un grande nei saggi filosofici, anche se scritti in uno stile lontano dai filosofi europei perché quasi poetici. Nel suo saggio “The Poet” immagina come dovrebbe essere il poeta dei nuovi Stati Uniti e disapprova i poeti a lui contemporanei: per lui la produzione fino a quel momento non è “grande poesia americana”, lui si aspetta qualcosa di diverso, qualcosa di “nostro”, non qualcosa che sa d’Europa. Il distacco con l’Europa, comunque – anche quando avverrà – , sarà solo parziale perché la comunanza della lingua inglese è sempre veicolo di influenza fortissima dell’Inghilterra.
Per Emerson non è il metro che fa la poesia, “but a meter-making argument” (“The Poet”): si parte, cioè, da ciò che si ha da dire. Quindi la poesia deve essere una sorta di performance, che si manifesta da sé. La poesia è da condividere e ha a che fare con la grande oratoria dei predicatori americani. Le dichiarazioni di Whitman ed Emerson su ciò che si aspettano dal poeta sembrano essere utopistiche: un’arte che raggiunga tutti, il sogno della democrazia americana. Entrambi sembrano insistere sulla figura del poeta vate, quasi una figura religiosa. Emerson, non a caso, nel suo diario si segna un passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù insegna con autorevolezza e dice che sono pochi gli uomini al mondo che lo sanno fare, ma tra questi pochi – per Emerson – c’è Whitman. Gli scriverà, infatti, che avrà una grande carriera e Whitman gli risponderà che nel paese si avverte ormai il bisogno di una poesia così.
La realtà, invece, sarà diversa perché Leaves of Grass non diventerà un best-seller come i due auspicavano e solo molto più tardi Whitman sarà riconosciuto come poeta.
Whitman cura personalmente la prima edizione della sua raccolta e lo fa anche da un punto di vista tipografico, data anche la sua esperienza diretta in quel campo. Whitman è deluso della poesia americana a lui contemporanea per l’uso massiccio di questa a meri fini pubblicitari che la degrada e la riduce a banalissimi jingles. Perfino E.A. Poe non sarà esente dalla macchia di poeta scrittore di jingles. Un esempio di tale poesia si può incontrare nel “New York Herald” del 15 luglio 1853:
The Day is
Hot—The Sun is Bright
And Languid
are your looks—
Should your
feet be pained by boots too tight
Haste away to
brooks
The best of
boots and shoes he makes
And gaiters,
and slippers—but stay,
At 150 Fulton
his stand he takes
And at 523
Broadway.
Whitman si lamenta di come la pubblicità stia inquinando tutto ed è giunto ormai il momento di reagire perché la poesia della democrazia consiste in qualcosa di più grande di un jingle. Whitman si propone di essere un poeta che parla a tutti, ma comprende anche che per ottenere ciò deve, in qualche modo, entrare in certi meccanismi – diciamo – “pubblicitari”: infatti nella seconda edizione a Leaves of Grass pubblica la lettera di Emerson come prefazione al testo. Per il Emerson essere associato a Whitman è fonte di imbarazzo, visto i circoli intellettuali che è solito frequentare. Whitman, in seguito, distribuirà un’edizione della sua opera comprendente tutte le recensioni a lui dedicate, da quelle positive, a quelle negative, perché aveva capito perfettamente che la chiave di tutto stava semplicemente nel far parlare di sé. In fondo anche questo è occuparsi del rapporto tra poesia e democrazia: essere consapevoli dei meccanismi istituzionali attraverso cui si deve necessariamente passare. Whitman, quindi, non solo cambia i contenuti della poesia, ma ne tematizza anche il cambiamento.
Nella “Preface” a Leaves of
Grass 1855 scrive quanto segue:
“The poetic quality is not
marshalled in rhyme or uniformity or abstract addresses to things nor in
melancholy complaints or good precepts, but is the life of these and much else
and is in the soul. The profit of rhyme is that it drops seeds of a sweeter and
more luxuriant rhyme, and of uniformity that it conveys itself into its own
roots in the ground out of sight. The rhyme and uniformity of perfect poems show
the free growth of metrical laws and bud from them as unerringly and loosely as
lilacs or roses on a bush, and take shapes as compact as the shapes of chestnuts
and oranges and melons and pears, and shed the perfume impalpable to form. The
fluency and ornaments of the finest poems or music or orations or recitations
are not independent but dependent. All beauty comes from beautiful blood and a
beautiful brain. If the greatnesses are in conjunction in a man or woman it is
enough . . . . the fact will prevail through the
universe . . . . but the gaggery and gilt of a million years
will not prevail. Who troubles himself about his ornaments or fluency is lost.
This is what you shall do: Love the earth and sun and the animals, despise
riches, give alms to every one that asks, stand up for the stupid and crazy,
devote your income and labor to others, hate tyrants, argue not concerning God,
have patience and indulgence toward the people, take off your hat to nothing
known or unknown or to any man or number of men, go freely with powerful
uneducated persons and with the young and with the mothers of families, read
these leaves in the open air every season of every year of your life, re examine
all you have been told at school or church or in any book, dismiss whatever
insults your own soul, and your very flesh shall be a great poem and have the
richest fluency not only in its words but in the silent lines of its lips and
face and between the lashes of your eyes and in every motion and joint of your
body. . . . . . . .”
Dunque la “forma” della poesia non è più solo strumento, ma fine. Leggendo queste parole si sente che parla quasi come un profeta, piuttosto che come un poeta. Scriverà ancora invitando i suoi lettori a “non levarsi il cappello” (modo in cui appare raffigurato sulla copertina della prima edizione – suscitando non poco scandalo nell’America perbenista delle buone maniere) e a “mescolarsi liberamente agli uomini di ogni cultura”.
L’utopia di Whitman consiste nel fatto che vorrebbe che la poesia si identificasse con la corporalità, proprio con tutto, insomma, compreso il corpo: questa è democrazia. Nulla in natura non è degno di non essere poetato. Ovviamente le sue poesie vennero immediatamente giudicate “unpoetic” ; certo è che erano pura trasgressione rispetto a tutta quella poesia paludata. Tuttavia si trattava di una poesia diversa da quella bassamente volgare, popolare, infima e pornografica. Whitman vuole tracciare una linea netta con quella corporalità volgare che nulla ha a che fare con la bellezza del corpo umano.
Nella Section 1 Whitman dichiara d’essere al centro e porta subito il lettore a comprendere che canta se stesso, ma quel Whitman che cessa d’essere finito in sé perché “kosmos”: è un sé rappresentativo ed ecco che poetica e politica si sovrappongono. Whitman è un grande ammiratore dell’opera lirica è dichiara che se così non fosse stato, difficilmente sarebbe mai riuscito a scrivere poesia e molte delle sue raccolte si intitolano “song”. Per lui Leaves of Grass è una sorta di palcoscenico: “attraverso di me molte luci lungamente mute” afferma. Egli coglie assolutamente tutti gli aspetti della cultura americana e con un entusiasmo che non gli viene mai meno, neppure nei periodi più bui della sua esistenza. Non parla dell’America “com’è”: non è un “seer”, c’è differenza tra chi è capace della sola visione – anche negativa – e chi, al tempo stesso, vede qualcosa oltre la veduta. Whitman parla di tutti e a nome di tutti e di tutte le categorie che compongono l’America conferendo, così, uno status a tutti i protagonisti della sua opera e della vita americana. Certo, parla lui per tutti, ma non parlano direttamente i protagonisti: ecco che Leaves of Grass ci presenta uno dei rischi della democrazia, ovvero quello per cui affinché ci siano tutti, non tutti riescono a parlare. Tuttavia in grande anticipo sui tempi riconosce pari dignità a tutti i cittadini americani. Su tutti i fronti qualsiasi classe sociale è presente nell’opera: uomini, donne, omosessuali. Presta profonda attenzione anche agli aspetti più degradati della vita e lo fa semplicemente perché anche questi sono parte di essa. E’ una precisione quasi scientifica quella con cui Whitman si muove girando lo sguardo intorno a sé e soffermandosi su ogni aspetto della vita. Tale “scientificità” gli deriva anche dall’ammirazione che provava per Liebig e per un testo di chimica che questi aveva scritto in cui afferma che il corpo umano, decomponendosi, torna a far parte della terra e così compiendosi il ciclo esso diventa immortale: musica per le orecchie di Whitman!
Non discute di Dio e così facendo non privilegia nessun punto di vista religioso. Leaves of Grass parla bene di tutte le religioni perché tutte sono l’anelito di trascendenza che prova l’uomo: è decisamente un relativista. Delle religioni pensa semplicemente che tutte siano uno strumento d’equilibrio per il raggiungimento di una immortalità. La poesia whitmaniana è sicuramente una poesia di illuminazione, di esperienza mistica che passa attraverso tutti gli aspetti degli Stati Uniti e di accettazione della morte (influenza delle filosofie orientali): “cercami sotto le suole delle scarpe”.
Nella prima versione, Song of Myself termina senza un punto fermo e questo perché il poeta invita il lettore al movimento costante.
Nella sua opera Whitman riesce a coniugare due aspetti profondamente democratici: la morte (vista come dimensione trans-individuale) e un “I” che non si annulla mai. Due termini in tensione, uno di dimensione sovradimensionale, l’altro profondamente individuale: un salto ardito. Per comprendere meglio questo concetto, pensiamo al film La sottile linea rossa , che, secondo me, è assolutamente whitmaniano per la voce continua del protagonista morto e per l’uso della cinepresa profondamente influenzato dal Trascendentalismo. La cinepresa si muove come in un circolo (simbolo caro al Trascendentalismo) intorno ai soldati giapponesi, così come a quelli americani e si presta attenzione a tutti i particolari. E’, forse, l’unico film di guerra che ha compassione per la guerra.
Il tipo di atteggiamento che predica Whitman è giunto fino ad oggi ed è presente nella musica e nel cinema.
Voglio concludere facendo riferimento ad un poeta pellerossa contemporaneo che – anche lui – lascia un omaggio al Bardo d’America. Si tratta di Sherman Alexie e della poesia intitolata Defending Walt Whitman.
E’ una risposta, forse, all’ “io” rappresentativo.
(dagli appunti della prof.ssa Isabella Marinaro)
per la lettura del testo, cliccare qui.
Il testo, curato e tradotto da Giorgio Mariani, è tratto da “Acoma – Rivista
internazionale di Studi Nordamericani” (n. 23, primavera 2002, anno VIII; Shake ed.) ed è un file .pdf da 3.64
MB.